“È necessario un approccio vergine” scrivevo in una di quelle mie canzoni mai pubblicate, partorite con difficoltà e sotterrate da migliaia di ripensamenti, cambi di direzione, dubbi, tentennamenti…
Sono stato lì lì per scrivere alla Biblioteca di Verdellino che il nome “Il Bepi” tra parentesi sarebbe forse stato meglio levarlo, poi, per l’ennesima volta, mi sono chiesto se sarebbe stato veramente giusto farlo.
Sì, perché anche loro, immagino, gradiranno avere due o tre persone in più in sala, magari proprio in virtù del nome più conosciuto del Bepi rispetto a quello di Tiziano Incani.
Certo, bisogna sempre pensare al fatto che quelle due o tre persone potrebbero anche essere in meno.
Io incontro ancora gente che si meraviglia ch’io sappia parlare correttamente in italiano, anzi, a dire il vero, incontro ancora chi si meraviglia ch’io sappia qualcosa che non sia l’uso sguaiato e boattone della Ö e della Ü.
Tra questi, non crediate, ci sono sempre i soliti spocchiosetti intellettuali, stupidi come fichi d’asino, i quali, magari, andranno a tutte le altre serate della rassegna, fuorché alla mia.
In alcuni casi non avranno idea di chi sia lo scrittore che presenta il libro, ma per questi la base di partenza sarà quantomeno “zero” e non “meno dieci”.
Forse sbaglio io, forse il Bepi già da anni mostra in toto le sue caratteristiche e le sue qualità e chi le sa cogliere le coglie, a prescindere dal nome che legge sulla locandina, però, ripeto, la meraviglia che ancor oggi riscontro in certi ambiti non è un segnale incoraggiante.
Ala fì go scriìt negóta a chi de Erdelì. Va bene “il Bepi”, anche se io, per questi stessi motivi, quel nome in copertina non ce l’ho messo mai (c’è sulla quarta, dietro, se non erro): in fondo sia il territorio che il dialetto bergamasco (ingredienti principali delle ricette bepose) nei miei romanzi ci sono eccome!
Un’ultima cosa: quando parlo di pregiudizi non mi riferisco solo a quelli negativi, ma anche a chi ci resta male quando scopre che il Bepi non è solo “Disco Sexy Bar” e “Kentucky” e che sulla sua porta non c’è alcun cartello che vieta severamente di parlare in italiano.
Questione spinosa e complessa quella che inquadra i nostri presunti punti di forza e prova a convincerci che no, non possiamo eccellere in tutto, come noi, con un pizzico di arroganza, mireremmo a fare.










